Le nostre Pillole/Faq

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Cosa rischio se tengo la badante “in nero”
Innanzitutto una pesante multa (da 1.000 a 8.000 euro per lavoratore, cui si aggiungono 30 euro per ogni giornata di lavoro irregolare).
Ma non basta: ci sono anche le sanzioni comminate dall’INPS, che derivano da tre illeciti distinti. La prima multa dipende dal mancato versamento dei contributi e non può essere inferiore a 3.000 euro, sia che il lavoratore sia stato assunto la settimana prima sia che collabori presso la famiglia da dieci anni. La seconda violazione consiste nella mancata comunicazione dell’assunzione all’INPS, e comporta una multa da 100 a 500 euro. La terza, infine, dipende dal non aver consegnato al lavoratore copia della medesima comunicazione INPS, e la sanzione pecuniaria va da 250 a 1.500 euro.
Molto spesso la “denuncia” non deriva da un’accertamento ispettivo dell’autorità competente, ma in seguito al deterioramento o alla cessazione del rapporto di lavoro……e i casi sono moltissimi!
particolare attenzione merita invece una questione molto “spinosa” che riguarda le famiglie che si affidano ad agenzie (o cooperative) che non gestiscono correttamente il rapporto di lavoro con “i domestici”. Spesso per rasserenare il cliente queste realtà firmano degli accordi con i quali si impegnano a tenere sollevata la famiglia da qualsiasi responsabilità in tema di vertenze di lavoro. Purtroppo però queste clausole sono totalmente inefficaci in quanto la legge italiana, per tutelare il lavoratore, prevede che vi sia la totale corresponsabilità dei datori di lavoro con i “fruitori” del lavoro stesso.
Quindi attenzione! Verificate che le persone che lavorano presso la vs. casa abbiano “tutte le carte in regola”.
Il contratto a progetto è legale?
Con le circolari n° 29/2012 e n° 7/2013 la Direzione Generale per l’attività ispettiva del Ministero del Lavoro, ha fugato ogni dubbio!
Il lavoro a progetto NON E’ APPLICABILE IN AMBITO SOCIO ASSISTENZIALE.
Già con con prot. n. 25/I/0017286, in data 3 dicembre 2008, era chiaro che “che gli indici sintomatici di subordinazione non costituiscono ostacolo al riconoscimento della natura autonoma del contratto oggetto di accertamento, a condizione ovviamente che il collaboratore stesso unilateralmente e discrezionalmente determini senza necessità di preventiva autorizzazione e successiva giustificazione, la quantità di prestazione da eseguire e la collocazione temporale della stessa “.
Con le nuove indicazioni diventa ora impossibile utilizzare il contratto a progetto giacché la badante non determina discrezionalmente i propri orari, né la quantità di prestazione da eseguire né la collocazione temporale della stessa (cosa che può invece avvenire se, ad esempio, chiedo ad una Col.F. di riordinare/pulire la mia casa verificando il risultato, senza curarmi delle modalità o se richiedo ad un Operatore Socio Sanitario di eseguire una prestazione -ad esempio la pulizia corporale- presso un assistito, lasciandogli ampia discrezionalità su tempi e modi).
Naturalmente, come più volte ricordato, in caso di rivendicazione da parte del lavoratore (la badante) di un inquadramento diverso, la famiglia è responsabile in solido con l’agenzia/cooperativa. A nulla valgono eventuali clausole contrattuali che escludano tale corresponsabilità.
Il lavoratore ha diritto a richiedere la disoccupazione in caso di abbandono del posto di lavoro della badante:
1- è possibile agire adottando i provvedimenti disciplinari previsti dall’art. 7 della Legge 300/70 (richiesta dei motivi, risposta del lavoratore entro cinque giorni, emanazione del provvedimento disciplinare/licenziamento)
2- è possibile anche effettuare il licenziamento “ad nutum” motivandolo “per esigenze familiari”. In entrambi i casi il lavoratore ha diritto a richiedere la disoccupazione. Per quanto riguarda la famiglia le conseguenze sono: se adottato il provvedimento n° 1 non decorre il preavviso – adottando il provvedimento n° 2 la famiglia dovrà corrispondere il preavviso in quanto il licenziamento è in tronco.
La badante chiede di avere la residenza in casa mia… è RISCHIOSO?
La residenza non aggiunge alcun diritto accessorio, al fatto che la badante o altra persona occupino una certa casa, o parte di essa (una stanza), se così fosse il “padrone di casa”, ad esempio, non potrebbe sfrattare l’inquilino moroso. La richiesta della residenza è fatta dalla badante, il datore di lavoro potrebbe anche non esserne a conoscenza. L’ufficio anagrafe si limita a verbalizzare, che la persona vive in una certa casa, avendone titolo (ecco perché è necessaria una copia del contratto di lavoro) e a passare la pratica ad un vigile che esegua le verifiche del caso, dopo tale verifica, la residenza è attribuita. Alla fine del rapporto di lavoro (ultimato il preavviso), il datore di lavoro, proprietario dell’alloggio, (o un suo erede o delegato) va in comune e informa l’ufficio anagrafe che in casa sua non abita più il suo ex dipendente. Per cancellare la residenza, però ci vuole un anno (durante il quale il Comune verificherà l’effettivo allontanamento dell’ex-residente).
Se invece la badante richiede il cambio di residenza in qualsiasi altro luogo, la cancellazione della precedente residenza è istantanea.
La badante può accompagnare l’assistito con la proria auto?
E’ prassi diffusa che il lavoratore domestico metta a disposizione la propria autovettura per svolgere alcuni incarichi che richiedono piccoli trasporti o brevi trasferimenti per conto della famiglia. A fronte dell’uso/usura dell’automezzo, si riconosce al lavoratore un rimborso commisurato ai chilometri percorsi e alla tipologia dell’auto utilizzata (ad esempio secondo le tariffe pubblicate annualmente dall’ACI).
Premettiamo che l’assicurazione auto copre i danni (limitatamente a quelli fisici) subiti dai passeggeri presenti nel veicolo dell’assicurato che ha causato un incidente, non copre invece quelli subiti dal conducente stesso e ci possono essere casi (indicati in polizza come esclusioni) in cui l’assicuratore, pur dovendo risarcire il terzo danneggiato, può richiedere di essere rimborsato della somma pagata. Normalmente le esclusioni sono previste per situazioni in cui la circolazione non avviene nel rispetto di alcune disposizioni di legge. Ad esempio se si causa un danno perché in stato di ebbrezza , oppure se il numero dei passeggeri presenti nel veicolo è superiore a quello previsto dal libretto di circolazione.
E’ opportuno, tuttavia, valutare i profili di rischio in capo al datore di lavoro che possono realizzarsi quando, a motivo di eventi fortuiti, imprevedibili con o senza colpa o dolo del conducente, l’automezzo di proprietà del lavoratore viene ad essere oggetto di danneggiamenti per incidenti stradali, per atti vandalici o per eventi meteorologici o quando procuri danni a terzi o al conducente stesso.
I giudici, quando hanno ritenuto sussistere anche una responsabilità del datore di lavoro, si sono basati su due specifiche norme del codice civile, e in particolare:
a) La responsabilità indiretta del datore di lavoro In base all’art. 2049 del c.c. (responsabilità dei padroni e committenti), il datore di lavoro, a motivo del potere direzionale e decisionale riconosciutogli, è ritenuto responsabile per i danni arrecati dal fatto illecito dei propri dipendenti in occasione e nell’esercizio dei compiti loro affidati. Si tratta di una responsabilità indiretta ed estesa che considera il datore di lavoro sempre responsabile quando l’incarico affidato determina una situazione che renda possibile o agevoli la produzione dell’evento dannoso, sempre che esista un legame tra il comportamento lesivo e le finalità delle mansioni “in occasione” delle quali l’illecito sia stato commesso, e ciò indipendentemente dal dolo o dalla colpa (Cass. civ., sez. III, 26 gennaio 2010, n. 1530).
b) I doveri del datore di lavoro nei confronti del dipendente In base all’art. 2087 c.c. il datore di lavoro è tenuto a tutelare l’integrità fisica del lavoratore subordinato predisponendo tutte le misure necessarie secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica. Le norme in tema di sicurezza (d.lgs. n.81/2008) impongono al datore di lavoro non solo di valutare tutti i possibili rischi e predisporre tutte le possibili misure protettive a tutela della salute e sicurezza sul lavoro, ma anche di controllare e sanzionare disciplinarmente l’eventuale inosservanza delle tutele approntate. In considerazione di ciò si può ritenere che, per il lavoratore che utilizzi la propria autovettura per scopi lavorativi, l’ambiente di lavoro è la strada e l’auto è lo strumento di lavoro.
Data l’ampiezza delle casistiche sopra evidenziate, nello specifico caso dell’utilizzo dell’autovettura del dipendente per esigenze del datore di lavoro, va valutato sino a che limite l’incuria nella gestione dell’automezzo da parte dell’utilizzatore o del proprietario (stato di usura degli pneumatici o dei freni, manutenzioni periodiche, collaudo, revisione e rispetto degli obblighi amministrativi: bollo, assicurazione, patente, ecc.) possa tradursi in responsabilità del datore. Infatti, pur incombendo i descritti obblighi sull’utilizzatore e sul proprietario, tuttavia il datore di lavoro – per taluni aspetti – potrebbe trovarsi in una situazione di corresponsabilità con il proprio dipendente e ciò pur considerando che per il datore di lavoro non è sempre agevole né possibile effettuare controlli né, peraltro, sussisterebbe obbligo alcuno. E’ opportuno considerare che il grado di responsabilità può aumentare quando l’utilizzo dell’auto di proprietà del lavoratore diventi sistematico e costituisca una prassi consolidata; ciò sino ad ipotizzare l’obbligo delle visite mediche particolari previste per gli autisti (alcool dipendenza, tossicodipendenza). Sussiste inoltre la responsabilità del datore di lavoro per i danni arrecati dal fatto illecito del dipendente a cose e/o soggetti terzi e i suoi doveri nei confronti dello stesso sopra ricordati.
Con riferimento a fattispecie potenzialmente pericolose per i datori di lavoro segnaliamo:
–  Danno riportato dal dipendente e/o all’autovettura per comportamento del conducente In caso di incidente, il danno riportato dal dipendente/conducente viene coperto dall’INAIL come infortunio. Il datore di lavoro potrebbe eventualmente essere comunque chiamato a rispondere del maggior danno biologico non coperto dall’ assicurazione INAIL e/o da un’azione di rivalsa INAIL (es: per incuria dell’automezzo); salvo che non riesca a dimostrare che l’incidente sia attribuibile solo e soltanto al comportamento doloso del tutto occasionale ed imprevedibile del dipendente stesso. Danno ingiusto per fatto doloso o colposo di terzo Qualora il dipendente riporti un danno ingiusto per fatto doloso o colposo di terzo, quest’ultimo sarà tenuto a risarcire il danno e lo stesso datore di lavoro potrà agire autonomamente nei confronti di colui che ha commesso il fatto (art.2043 c.c.). Questo è il caso in cui il dipendente venga coinvolto, senza sua responsabilità, in un incidente: normalmente l’assicurazione del terzo copre tutti i danni subiti, compresa la rivalsa dell’INAIL e del datore di lavoro per i costi che restano a suo carico durante l’assenza per infortunio. Danno provocato dal dipendente per fatto illecito In caso di incidente provocato da fatto illecito occorso “in occasione” del servizio prestato, il datore di lavoro potrebbe comunque essere chiamato a risarcire eventuali danni arrecati dal fatto illecito del dipendente a terzi e/o cose. Viene fatta salva in ogni caso la possibilità del datore di lavoro di agire in rivalsa nei confronti del lavoratore posto che si tratta pur sempre di una responsabilità solidale. Responsabilità indiretta del proprietario dell’automezzo Nel contesto di cui si tratta, va tenuto conto anche della responsabilità indiretta del proprietario dell’automezzo prevista dall’ art.2054 c.c.. Non è infrequente, infatti, il caso in cui il lavoratore utilizzi, nell’interesse dell’azienda, l’autovettura di proprietà del coniuge e/o di parenti. In questo caso, accanto alla responsabilità diretta del conducente per i danni provocati a persone o a cose, sussiste anche una responsabilità indiretta del proprietario dell’automezzo, considerato responsabile in solido con il conducente per i danni causati da quest’ultimo e in ogni caso per i danni derivanti da vizi di costruzione o difetto di manutenzione del mezzo. Non sempre i contratti di assicurazione coprono i danni arrecati al conducente o alla stessa autovettura oppure i danni arrecati a soggetti terzi/cose qualora l’autoveicolo venga affidato a un soggetto diverso dal proprietario. Nello specifico caso in cui il lavoratore utilizzi la propria autovettura per motivi di servizio, potrebbe essere opportuno predisporre una lettera di missione con la quale viene lasciata al lavoratore la scelta, alternativa, di utilizzare: l’automezzo messo a disposizione dalla famiglia, oppure il veicolo proprio o altrui, sensibilizzandolo adadottare uno stile di guida più sicuro, a curare la manutenzione costante del veicolo e a dotarsi di tutte le misure di sicurezza. La lettera di missione potrebbe venire utilizzata anche per informare il lavoratore sul rimborso spese o per invitare ad una verifica della validità in corso dei documenti di bordo, patente, bolli, assicurazioni. Ecc.. Infine, se non altro per richiamare il lavoratore ad una puntuale attenzione e ad una decisione consapevole in ordine all’utilizzo della propria autovettura, e nella consapevolezza che, per quanto detto, si potrebbe comunque ipotizzare una responsabilità almeno concorrente del Datore di lavoro, potrebbe risultare opportuno inserire nella stessa lettera di missione una dichiarazione di manleva in caso di inadempimento e di esonero da responsabilità per danni riportati in caso di incidenti dovuti a usura e/o a cattiva manutenzione/incuria, imperizia alla guida e/o violazioni di norme sulla circolazione stradale, nonché atti vandalici e/o fenomeni atmosferici.
Quali sono le agevolazioni fiscali previste per chi assume un’assistente familiare?
Datore di lavoro che versa regolarmente all’Inps i contributi per assistenti familiari assunti per assistere a persone non autosufficienti può usufruire di agevolazioni fiscali relative ai contributi versati.
Assistente familiare:
Il datore di lavoro può dedurre dal proprio reddito, per un importo massimo di 1.549,37 euro l’anno, i contributi previdenziali obbligatori versati per il lavoratore. A tal fine è tenuto a conservare le ricevute dei bollettini Inps. L’importo massimo deducibile è fisso e non varia in base ai redditi dichiarati.
Assistente familiare:
Il datore di lavoro può detrarre dall’imposta lorda il 19% delle spese sostenute per gli addetti all’assistenza di persone non autosufficienti, per un importo massimo di 2.100 euro l’anno. La detrazione spetta al soggetto non autosufficiente o ai familiari che sostengono la spesa.
Per poter usufruire di questa agevolazione sono necessari:
1. il certificato medico, rilasciato da un medico specialista o generico, che attesti la condizione di non autosufficienza, da esibire a richiesta dell’amministrazione finanziaria;
2. le ricevute delle retribuzioni erogate, firmate dall’assistente familiare. Si può usufruire di tale detrazione se il reddito complessivo non supera 40.000 euro.

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